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UN DIO ORSO: ART-URSUS, ARKTOS, ARTU’

Vediamo cosa ci spinge, aggirandoci nel labirinto celeste, a cercare un motivo di contatto tra le costellazioni ORSA maggiore e Orsa minore e gli elementi del ciclo arturiano. Nella mitologia celtica l’orso, animale sacro, è attribuito ad Artù.
Artio é la Dea della caccia e dell'abbondanza, spesso raffigurata come un'orsa (o in compagnia di un orso). Il suo nome significa infatti "orsa". Pare che il nome di Artù sia collegato a questa divinità di cui ad oggi non restano che pochissime tracce.
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"Artù" sarebbe derivato dalla fusione di due vocaboli aventi il medesimo significato in due lingue diverse, il celtico "Art", che significa "orso", ed il latino "ursus" dunque Art-Ursus.
Il vocabolo greco "Arktos", era sicuramente noto ai generali romani in Britannia, che conoscevano il greco antico. Presso i Celti era diffusa una religione animista, possiamo ritenere che Artù possa essere anche la personificazione di un "dio - orso" del pantheon celtico, simbolo di forza, stabilità e protezione. Artù è chiamato l'"Orso di Britannia" da alcuni scrittori. "Arktouros" ("Arcturus" per i Romani, e "Arturo" in italiano), ovvero "guardiano dell'orsa", era il nome che i Greci davano alla stella in cui era stato trasformato Arkas, figlio di Callisto, trasformata nella costellazione dell'Orsa Maggiore ("Arctus" per i Romani).
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LA SPADA NELLA ROCCIA E MERLINO
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La vita materiale, così pesante, difficile… il nostro corpo fisico, così denso di giorno ma capace di volare nel sonno…la nostra scatola cranica, così spessa, simile ad una pietra anche per la sua preziosa rotondità ma capace di produrre pensieri, di collegarsi a intuizioni…
Il mito di Artù racconta che divenne Re estraendo la spada dalla roccia.
Nella tradizione orientale si dice che dalla sommità del capo si diparte un fiume di energia luminosa che, aprendosi in mille petali, si proietta verso l’alto, incurante della gravità, della pesantezza del cranio da cui è uscito.
Il chakra è detto ‘coronale’. Chi lo apre diviene Re.

La stella polare attraverso cui passa l’asse del mondo e che vediamo nel nostro cielo è lo specchio del polo dentro di noi, e l’asse è infisso nel nostro corpo fisico, lungo la colonna vertebrale.
La lama indistruttibile che verticale penetra la roccia è un simbolo potente della possibilità che abbiamo di conquistare la nostra regalità. Ognuno di noi è Artù, il fanciullo che non sa ancora chi è, che non può ricordare quanto sia regale la sua ascendenza, quindi non immagina che sia suo diritto liberare la sua nobile essenza dalla prigione della pietra, non sa ancora che gli spetta una corona.
Merlino lo indirizzerà, il suo maestro; il grande mago pare sia stato egli stesso artefice del gesto di posizionare la spada nella roccia.

Merlino conosce gli elementi. La sua è una magia naturale, ed egli è portatore di conoscenze antiche e sacre, depositario di un sapere che trascende la fragile umanità del giovane Artù. Non a caso lo si immagina come un vecchio e Artù come un giovanetto. Anche noi, Artù siamo noi, la nostra giovane esperienza di fronte ai misteri del cosmo ci fa sentire la pesantezza del vivere come una prigione: la nostra forza spirituale è infissa in una materia dura; la roccia simbolizza perfettamente la durezza dell’esistere. Artù avrebbe potuto lasciare lì quella spada; in tal caso non sarebbe cresciuto, non avrebbe avuto la responsabilità di essere Re, di governare, affrontare lotte e sconfitte…se vogliamo intraprendere il cammino del risveglio, dobbiamo impugnare la spada di Artù, trasformarla nella bacchetta magica di Merlino ed ergerci prima come guerrieri nel nostro viaggio esistenziale, poi come maghi, conoscitori dell’”Arte regia”, la sacra via che ‘ trasforma il piombo in oro ’, che padroneggia i processi di trasformazione della materia.
L’alternativa è restare prigionieri della roccia.
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LA SPADA NELL’ACQUA E LA DAMA DEL LAGO

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Qualcuno attribuisce l’acquisizione, da parte di Artù, della famosa Excalibur alla Dama del Lago. La fata avrebbe estratto la spada dall’acqua e l’avrebbe offerta al giovane destinato ad essere re; altri raccontano che la Dama, sempre estraendola dall’acqua, l’avrebbe invece affidata a Merlino affinché fosse lui a conficcarla nella roccia.
La seconda versione, dal nostro punto di vista, appare più convincente e comunque più ricca di significati simbolici. L’elemento acqua e l’elemento terra, ambedue femminili, contengono la spada, simbolicamente appartenente all’elemento aria in quanto fendente, tagliente, indirizzabile come il pensiero ma anche pregna di potere regale; se leggiamo la sua forma verticale come evocazione della nostra colonna vertebrale, come magica bacchetta capace di congiungere due potenze ignee:
il sacro fuoco di kundalini, dormiente nel nostro coccige ma collegato al fuoco-centro del pianeta, con il fuoco-sole su in alto, padre di ogni forma di vita sulla terra.
E’ interessante notare come nella spada nella roccia l’elsa sia in alto, mentre la mano della Dama, uscendo dall’acqua, ovviamente la impugna tenendola in basso. Se paragoniamo la spada alla nostra colonna vertebrale notiamo che la testa quando è nell’acqua è capovolta, quindi non ancora attiva, in via di formazione come il feto nel grembo materno; l’azione di emergere poi è data dalla fata, è un dono, non una conquista; entrare nell’incarnazione, nella dura roccia invece ci fa ergere il capo: è una possibilità nuova! Estrarci da quella prigione sarà dunque una realizzazione tutta nostra.
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