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UN PASSAGGIO TRA LE ROCCE

...intuire il momento giusto...
Anche Argo, come già Odisseo nell'avventura con Scilla e Cariddi, deve vivere l'esperienza di 'attraversare la porta stretta'. Le Simplegadi sono rocce imprevedibili: aprono e chiudono il loro passaggio ai naviganti. Non sono fisse; si muovono e, se si passa tra di loro sprovvisti dei dovuti requisiti, si rischia di venire schiacciati. Interessante la somiglianza con l'isola di Eolo nell' Odissea: anch'essa non fissa come di solito le isole, ma semovente, chiaro simbolo della componente 'aerea' del pensiero. Anche le Simplegadi sono paragonabili all'andare e venire del flusso di pensieri. Argo che vuole passare deve 'intuire' il momento adatto: il silenzio tra due pensieri, il magico momento in cui inspirazione ed espirazione creano un 'vuoto' attraverso il quale sia permesso dirigersi verso l' “altra sponda”... Passare è necessario. Già molte prove sono state superate. Entrare nel mar Nero permetterà alla nave Argo di dirigersi finalmente verso quell' est in cui sembra sia iniziata la loro storia, là dove è riposto l'involucro sacro (il vello) appartenuto all' Ariete sacro, ormai disincarnato: costellazione celeste tra le stelle... Il vello tanto cercato non è altro che una pelliccia, un contenitore, seppur prezioso, non la vera Essenza, ma il 'ricettacolo' di uno splendore che va messo dentro di esso. Un po' come il Graal: la coppa che contenne il sangue di Cristo. Noi dobbiamo diventare Graal, cioè calici che permettano all'entita cristica di abitare nel nostro involucro fisico! L'ariete in cielo è ridivenuto agnello, sempre giovane, incorruttibile. Riunificare la nostra scorza materiale, trasformarla in veste d'oro, renderci degno abitacolo dell' AGNELLO, riunire cielo e terra. Conquistare il Vello d'oro non può essere un atto di prepotenza. Questo sembra non essere stato compreso da Giasone: egli sfrutta le arti magiche di Medea, le promette amore pur non essendone innamorato. Supera le prove imposte da Eeta (padre di Medea) non già con le proprie forze, ma con l'inganno, poi vigliaccamente fugge senza affrontare le conseguenze dei suoi gesti. Porta via il vello, sì, ma cosa ha davvero conquistato? Un idolo vuoto! Se quel guscio non sarà riempito da 'materia stellare' resterà una semplice pelliccia... L'epilogo della storia lo dimostrerà: Giasone non solo non riconquista il trono di Iolco, motivo per cui era partito, ma seminerà morte, tradimento, distruzione attorno a sè. Che le storie ci dicano che fu Medea a perpetrare lo scempio del sacro simbolo che avevano conquistato (ucciderà e farà a pezzi il fratellino, con la magia farà sparire il re di Iolco, incendierà Glauce, la nuova sposa di Giasone, infine sacrificherà i propri figli pur di vendicarsi) non giustifica Giasone, anzi lo accusa! Medea è una parte di lui. E' il suo alter ego femminile: tanto la sua positività, la sua 'eroicità' fa difetto, tanto la parte negativa, egoica, passionale prenderà il sopravvento. Medea siamo noi quando usiamo la furbizia invece dell'intelligenza, l'inganno invece della verità, gli stratagemmi al posto della serietà, la via più comoda invece di quella costruttiva. Giasone siamo noi quando lasciamo a Medea il compito di agire al posto nostro. Giasone e Medea sono i simboli, interpreti ognuno del ruolo maschile o femminile, delle nostre due componenti, della nostra polarità. Leggendo il racconto degli Argonauti sempre più ci si può rendere conto, come guardandosi in uno specchio, di quanto spesso ci allontaniamo da... noi stessi! Leggiamo qualche brano della trama del racconto. Riuniti nel porto di Pagase in Tessaglia, gli Argonauti salgono a bordo della nave "Argo" per accompagnare nella Colchide Giasone, alla ricerca del vello d'oro. Fra i partecipanti alla spedizione vi sono Orfeo, Eracle, Atalanta, Admeto, l'indovino Mopso, Telamone, Peleo, Ila, Nauplio, Castore, Polluce, Idas, Linceo, Meleagro e Argo che ha costruito la nave. Come polena della nave, viene messa un pezzo della quercia sacra di Zeus a Dodona, conferendo alla nave il dono della parola. Nel lungo peregrinare del viaggio Argo affronta, ripercorrendola dall'inizio, l'avventura del processo di incarnazione. L'uomo ha già una storia alle sue spalle , costellata di tante difficoltà. Andare verso "l'ignoto est" è come voler comprendere, rivivendola, la traccia esistenziale umana. Seguiamo qualche tappa: LEMNO Sull'isola non c'erano più maschi. Le donne avevano trascurato il culto di Afrodite e la dea si vendicò dotandole di un odore ripugnante; i loro uomini quindi le trascuravano, dedicandosi alle schiave venute dalla Tracia.Le donne di Lemno, decisero quindi di uccidere i loro mariti infedeli e le schiave rivali. Quando gli Argonauti arrivano all'isola, le donne si armano, temendo un'invasione di traci. Ma una volta sentito l'araldo di Giasone, si mostrano ospitali accogliendoli tutti nell'isola, tranne Eracle e pochi altri. Il loro soggiorno è talmente felice da far dimenticare loro il motivo del loro viaggio ed Eracle li deve richiamare alla ragione; alla fine le donne di Lemno, acconsentono alla loro partenza. Siamo qui alle prese con la problematica del sesso, ovvero con la difficoltà che comporta la necessità di riunificarsi con la parte mancante quando sopraggiungono gelosia, tradimento, rancore e vendetta. Eracle resta sulla nave, non vuole partecipare: ha le sue 12 fatiche da compiere, è già su un percorso, non vuole disperdersi. IL RE CIZICO Cizico li accoglie con benevolenza, organizzando per loro un banchetto. Mentre si preparano per la partenza, dalle montagne scendono dei mostri con sei braccia, che attaccano la nave e che cercano di impedirne la partenza, accatastando grandi rocce all'imbocco del porto.Gli Argonauti sconfiggono i mostri e ben presto possono ripartire. Venti contrari impediscono di proseguire e così gli Argonauti sono costretti a tornare all'isola, sbarcandovi di notte.Re Cizico crede di essere stato attaccato da pirati e non riconoscendo gli ospiti del giorno prima, prende le armi . Gli argonauti, a loro volta non riconoscendo gli amici, contrattaccano e re Cizico rimane ucciso. Non riconoscere i propri amici, anzi ucciderli credendoli assalitori. In questo semplice episodio è ritratta tutta l'assurdità della guerra. Quando l'umanità sarà in grado di accorgersi che usando l'aggressività combatte contro se stessa? FINEO E LE ARPIE Fanno scalo nel regno di Fineo, il re cieco che regna sulla riva occidentale del Bosforo.Fineo ha il dono della profezia, ma ha avuto l'impudenza di rivelare i segreti degli dei e Zeus l'ha punito.Ogni volta che si appresta a mangiare, due Arpie si precipitano sul cibo, glielo strappano di mano, insudiciandolo: il re sta così morendo di fame.Fineo spiega agli argonauti che potrà essere liberato da questa maledizione dai figli del vento di settentrione e chiede aiuto a Zete e Calais. I figli di Borea cacciano le Arpie, permettendo al re di nutrirsi. Parlare troppo, non vedere più, non riuscire più a nutrirsi... Fineo è un drammatico esempio delle problematiche esistenziali. LE ROCCE SIMPLEGADI L'indovino svela loro i pericoli che li minacciano e li consiglia di portarsi dietro una colomba, per poter attraversare le Simplegadi, scogli tra i quali le navi vanno a sfracellarsi. Già rocce gettate all'imbocco del porto avevano cercato di sbarrare la strada alla nave, ora altre rocce, addirittura semoventi, rischiano di schiacciare Argo mentre tenta di attraversare lo stretto. Seguendo il volo della colomba, la nave riesce a superare gli scogli, grazie anche alla vigilanza di Atena. Subirà purtroppo un leggero danno: come la coda della colomba anche la parte posteriore di Argo verrà danneggiata...E' una piccola cosa, ma possiamo considerarla già un presagio dell'epilogo poco felice del racconto. La colomba rappresenta il pensiero puro, quel misterioso intervallo che può lasciar sprigionare estasi quando il flusso dei pensieri si ferma. Ma la nostra componente mentale si ostina, non si rilassa, vuole vedere, sapere...così le rocce si muovono, stringono...il nostro orgoglio intellettuale non sa che davanti al mistero la razionalità può compromettere l'incanto, o comunque la pienezza dell'operazione.

MEDITAZIONE CON I COLORI Due grandi rocce, simili a montagne si ergono a destra e a sinistra del foglio. Uso il verde e il viola per rappresentarle. Al centro c'è un passaggio: lo rappresento con il giallo, simbolo della luce che mi guida, sfumandolo sempre più verso l'alto fino a lasciarlo svanire nel bianco del foglio, che forse potrà prendere la forma di una colomba, sacro uccello della purezza, mia guida, ma anche mio simulacro, per me che voglio attraversare la porta stretta.

Un passaggio tra le rocce Un passaggio tra le rocce Un passaggio tra le rocce
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